Esisto ed ho una voce, una voce che vorrei che qualcuno ascoltasse, vorrei finalmente che avesse la possibilità di uscire, di non rimanere spezzata in gola come ha fatto per tutti questi anni.
Per cosa? Principalmente per paura, quella che abbiamo un po’ tutti e che noi abbiamo in modo particolare: la paura di essere giudicati, etichettati solo per il nostro passato, il nostro presente ma non per il nostro futuro, quello gli altri non riescono a vederlo.
Il tutto è causato dall’ignoranza che purtroppo aleggia nella società, nei nostri amici, spesso perfino nelle nostre famiglie; il problema però è che il tutto non è dato dalla cattiveria, non c’è un odio, un voler ferire ma c’è alla base un semplice non sapere, non conoscere, non capire.
Ecco perchè nasce la Curva di Giulia.
Curva? Perchè una curva? Mica siamo allo stadio! Curva perchè solitamente si usa dire “l’angolo di…” ma il concetto di angolo è spigoloso, affilato, può ferire, la curva invece accoglie, attenua, stringe e fa sentire a casa.
Oltretutto la curva è simbolo di cambiamento, di un graduale processo di svolta, non è repentino come quello che può invece essere rappresentato da un angolo.
Vorrei spiegare, vorrei anzi urlare, urlare e far fuoriuscire tutto quello che abbiamo dentro, tutto ciò che siamo e che allo stesso tempo non siamo, non siamo etichette, non siamo marionette alle quale basta dire “mangia” o “mangia meno”, siamo molto di più.
Parlare dei disturbi dell’alimentazione in maniera pura, senza cercare di insegnare nulla di accademico ed allo stesso tempo senza edulcorare, senza addolcire la pillola come tendono a fare i media, basti pensare a tutte le foto, a tutti i film, a tutti i racconti che non fanno che aumentare gli stereotipi a riguardo.
Esistono, non è mitologia, è qualcosa di reale, di concreto e, purtroppo, di estremamente diffuso.
Lo so, ne ho la certezza.
Lo so perchè per anni ho tenuto un posto occupato anche per lui, ogni luogo in cui andavo aveva due cartellini con scritto riservato, uno per me e uno per lui, per il mio problema, per il mio malessere.
Non saprei bene come definirlo, come chiamarlo, si sarà capito che non amo le etichette, infatti non apprezzo e non uso il termine anoressia così come il termine obesità o bulimia, appiattiscono l’essenza di questo compagno di viaggio, forse meglio di vita, questo carnefice degno dei migliori film di Tarantino, il quale però in Ultima battuta non viene sconfitto in maniera eccentrica e del tutto paradossale, si rischia infatti che egli prenda completamente il sopravvento, che riesca a convincere di essere inizialmente come un alter-ego, per poi gradualmente insinuarsi, sostituendo completamente l’ego (niente Freudismi, era per continuare con il Latino che rende tutto più elegante).
In sostanza, l’obiettivo di tutto ciò è quello di scostare il tendone nero, di alzare il sipario così da poter mettere in scena e mostrare ciò che accade realmente, quello che per voi può essere uno “spettacolo” con cui capire, con cui approfondire e perché no, essere anche più curiosi nei confronti della realtà che vi circonda, ma che per noi è stata o è tutt’ora la quotidianità.
Questo articolo è opera di Giulia Ninotta, associata del Centro Libenter